Berlino 1989. The Wall

Il 7 di novembre del 1989 arrivai a Berlino Est in uno dei miei frequenti viaggi nell’Est Europeo per fare accordi di qualche natura per la rete Televisiva di cui allora ero Executive Vice President – Super Channel da Londra – e per l’altra, più modesta ma sfiziosa di cui ero stato ideatore, Videomusic. Avevo instaurato ottimi rapporti con le organizzazioni giovanili e amavo sinceramente la parte Est di Berlino, per il teatro, i caffè, e soprattutto per un meraviglioso albergo dove soggiornavo: il Grand Hotel (oggi Westin-Grand). Con i governanti dell’epoca, tramite i i rappresentanti delle organizzazioni giovanili, stavo trattando l’acquisto di uno stabile da utilizzare come sede per la Tv e come centro di progettazione e sviluppo ; un piano dello stabile si era concordato di dare (in quello che oggi chiameremmo “comodato d’uso”) a tempo indeterminato alle associazioni culturali dei giovani. In quel tempo (lo sanno in pochi) stavo aprendo a Mosca la prima televisione commerciale, con un canale affidatomi dall’allora Gosteleradio, in joint venture con Novosti, il cui Presidente Anatoly Bogomolov era divenuto prima che partner un caro e prezioso amico. Bene ; arrivo il 7 per definire l’accordo. Si era persino decisa la cifra :100.000 marchi tedeschi ; nulla per quello che sarebbe stato il valore solo una settimana dopo. Giacca e cravatta vado al Ministero; ci sono piccoli disordini, una manifestazione. Mi rimandano al giorno dopo. Passo velocemente alla sera del 9 : alle 19.30 sono al ristorante, sull’Alexander Platz; tutto è tranquillo, non ci sono avvisaglie. Verso le 21.30 vedo i camerieri che parlottano,si agitano e poi, a uno a uno, se ne vanno. Chiedo spiegazioni al capo sala, che mi dice che alla televisione hanno parlato della possibilità di apertura dei confini. Pago e, con un amico americano, scendo in piazza e percorro la Unter den Linden (letteralmente “sotto i tigli”) , il largo viale alberato, rettilineo, che collega Alexanderplatz alla Porta di Brandeburgo. La gente, poca all’inizio, diviene lentamente folla. Una folla che scorre tranquilla, dubbiosa, incredula. Arrivano numerosi i camion della polizia, senza sirene ; girano su una strada laterale alla Porta e di fatto si nascondono. Di fronte alla porta di Brandeburgo ci sono, schieratissimi, i poliziotti. Davanti a loro una catena. Non succede nulla. All’improvviso, come di fronte a Mosè, la truppa si apre, militarmente. Arretra, lascia lo spazio per il salto della catena e per una corsa attraverso la porta verso il Muro. Pioviggina, è freddo. Corriamo tutti… il Muro non è altissimo; qualcuno si arrampica, io allungo una mano e altri mi spingono da dietro. Sono sul Muro. Da una parte la Berlino scura dei Vopos, dall’altra le luci dell’Ovest e decine di migliaia di persone che urlano. Ci lanciano bottiglie di qualcosa che assomiglia allo spumante. Brindo sul Muro di Berlino. Era il mio sogno. Proprio là sotto John Kennedy aveva dichiarato “Ich bin ein berliner”. Mi rendo improvvisamente conto di essere salito su una cima immensamente più alta dell’Everest, di stare guardando con gli occhi dei compagni berlinesi della DDR quella parte di mondo che per me era normale, quotidiana, ma per loro distante più della luna. Sul muro siamo in pochi, in fondo; non trovo stranieri e non conosco il tedesco, salvo quanto necessario a gestire l’emergenza; ci stringiamo le mani, qualche abbraccio, con molta compostezza. Scendo e passo finalmente sotto la Brandeburger Tor . La vittoria alata che sormonta quella che originariamente si chiamava la Porta della Pace torna ad essere il simbolo dell’unione fra i popoli. C’è una calma quasi innaturale; la Polizia assiste al passaggio della storia senza intervenire. Molti sorridono. Io non mi rendo ancora conto della grandezza del momento. Mi frugo in tasca, raccolgo i dollari e i marchi che mi avanzano e , di nuovo sulla Unter den Linden,fermo un furgone Volkswagen. E’ una famiglia: marito, moglie e 2 figli. Consegno a loro i soldi; li accompagno attraverso l’odiato Check Point Charlie, fra una folla impazzita e commossa. Ci immergiamo tra i suoni e i colori dell’occidente, in un abbraccio infinito. Rientro alle 6 del mattino. Il mondo non sarà più lo stesso.

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